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188 LA GERUSALEMME

LXXXVI.


     Ma lassa! i’ bramo non possibil cosa,
E tra folli pensier invan m’avvolgo.
Dunque io starò quì timida e dogliosa,
684Com’una pur del vil femmineo volgo?
Ah non starò; cor mio confida, ed osa.
Perchè l’arme una volta anch’io non tolgo?
Perchè per breve spazio non potrolle
688Sostener, benchè sia debile e molle?

LXXXVII.


     Sì potrò, sì;, chè mi farà possente
Amor, ond’alta forza i men forti hanno;
Da cui spronati ancor s’arman sovente
692D’ardire i cervi imbelli, e guerra fanno.
Io guerreggiar non già, vuò solamente
Far con quest’armi un ingegnoso inganno:
Finger mi vuò Clorinda, e, ricoperta
696Sotto l’immagin sua, d’uscir son certa.

LXXXVIII.


     Non ardirieno a lei fare i custodi
Dell’alte porte resistenza alcuna.
Io pur ripenso, e non veggio altri modi:
700Aperta è, credo, questa via sol’una.
Or favorisca le innocenti frodi
Amor, che le m’inspira, e la fortuna.
E ben al mio partir comoda è l’ora,
704Mentre col Re Clorinda anco dimora.