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CANTO SESTO. | 183 |
LXXI.
L’un così le ragiona: o verginella,
Che le mie leggi insino ad or serbasti,
Io mentre ch’eri de’ nemici ancella,
564Ti conservai la mente, e i membri casti:
E tu, libera, or vuoi perder la bella
Verginità che in prigionia guardasti?
Ahi nel tenero cor questi pensieri
568Chi svegliar può? chè pensi?, oimè, chè speri?
LXXII.
Dunque il titolo tu d’esser pudíca
Sì poco stimi, e d’onestate il pregio;
Che te n’andrai fra nazion nemica,
572Notturna amante, a ricercar dispregio?
Onde il superbo vincitor ti dica:
Perdesti il regno, e in un l’animo regio:
Non sei di me tu degna; e ti conceda
576Volgare agli altri e mal gradita preda?
LXXIII.
Dall’altra parte il consiglier fallace
Con tai lusinghe al suo piacer l’alletta:
Nata non sei tu già d’orsa vorace,
580Nè d’aspro e freddo scoglio, o giovinetta,
Ch’abbia a sprezzar d’Amor l’arco e la face,
Ed a fuggir ognor quel che diletta:
Nè petto hai tu di ferro, o di diamante,
584Che vergogna ti sia l’esser amante.