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172 | LA GERUSALEMME |
XXXVIII.
Tacque: e ’l Pagano al sofferir poco uso
Morde le labbra, e di furor si strugge.
Risponder vuol, ma ’l suono esce confuso,
300Siccome strido d’animal che rugge:
O come apre le nubi, ond’egli è chiuso,
Impetuoso il fulmine, e se ’n fugge;
Così pareva a forza ogni suo detto,
304Tuonando, uscir dall’infiammato petto.
XXXIX.
Ma poi che in ambo il minacciar feroce
A vicenda irritò l’orgoglio e l’ira;
L’un come l’altro rapido e veloce,
308Spazio al corso prendendo, il destrier gira.
Or quì, Musa, rinforza in me la voce,
E furor pari a quel furor m’inspira:
Sì, che non sian dell’opre indegni i carmi,
312Ed esprima il mio canto il suon dell’armi.
XL.
Posero in resta, e dirizzaro in alto
I due guerrier le noderose antenne:
Nè fu di corso mai, nè fu di salto,
316Nè fu mai tal velocità di penne,
Nè furia eguale a quella, ond’all’assalto
Quinci Tancredi, e quindi Argante venne.
Rupper l’aste su gli elmi, e volar mille
320Tronconi e schegge, e lucide faville.