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138 | LA GERUSALEMME |
XXXII.
Tratto al tumulto il pio Goffredo intanto
Vede fero spettacolo improvviso:
Steso Gernando, il crin di sangue e ’l manto
252Sordido e molle, e pien di morte il viso.
Ode i sospiri, e le querele, e ’l pianto
Che molti fan sovra il guerriero ucciso.
Stupido chiede: or quì, dove men lece,
256Chi fu ch’ardì cotanto, e tanto fece?
XXXIII.
Arnaldo, un de’ più cari al Prence estinto,
Narra, e ’l caso in narrando aggrava molto,
Che Rinaldo l’uccise, e che fu spinto
260Da leggiera cagion d’impeto stolto:
E che quel ferro, che per Cristo è cinto,
Ne’ campioni di Cristo avea rivolto;
E sprezzato il suo impero, e quel divieto
264Che fè pur dianzi, e che non è secreto.
XXXIV.
E che per legge è reo di morte, e deve,
Come l’editto impone, esser punito:
Sì perchè ’l fallo in se medesmo è greve,
268Sì perchè ’n loco tale egli è seguito.
Chè se dell’error suo perdon riceve,
Fia ciascun altro, per l’esempio, ardito;
E che gli offesi poi quella vendetta
272Vorranno far, ch’a i giudici s’aspetta.