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CANTO QUARTO. 121

LXXXIII.


     Ma se Goffredo di credenza alquanto
Pur trova in voi, temprate i vostri affetti.
Tanto sol disse; e basta lor ben tanto,
660Perchè ciascun quel ch’ei concede, accetti.
Or chè non può di bella donna il pianto,
Ed in lingua amorosa i dolci detti?
Esce da vaghe labbra aurea catena,
664Che l’alme a suo voler prende ed affrena.

LXXXIV.


     Eustazio lei richiama, e dice: omai
Cessi, vaga donzella, il tuo dolore:
Chè tal da noi soccorso in breve avrai,
668Qual par che più richiegga il tuo timore.
Serenò allora i nubilosi rai
Armida, e sì ridente apparve fuore,
Ch’innamorò di sue bellezze il Cielo,
672Asciugandosi gli occhj col bel velo.

LXXXV.


     Rendè lor poscia in dolci e care note
Grazie per l’alte grazie a lei concesse,
Mostrando che sariano al mondo note
676Mai sempre, e sempre nel suo core impresse:
E ciò che lingua esprimer ben non puote,
Muta eloquenza ne’ suoi gesti espresse:
E celò sì sotto mentito aspetto
680Il suo pensier, ch’altrui non diè sospetto.