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CANTO QUARTO. 111

LIII.


     E mi soggiunse poi, ch’ alla mia vita,
Sol fuggendo, allungar poteva il corso;
E poich’altronde io non sperava aita,
420Pronto offrì se medesmo al mio soccorso;
E confortando mi rendè sì ardita,
Che del timor non mi ritenne il morso;
Sicch’io non disponessi, all’aer cieco,
424La patria e ’l zio fuggendo, andarne seco.

LIV.


     Sorse la notte oltra l’usato oscura,
Che sotto l’ombre amiche ne coperse:
Talchè con due donzelle uscii sicura,
428Compagne elette alle fortune avverse.
Ma pure indietro alle mie patrie mura
Le luci io rivolgea di pianto asperse:
Nè della vista del natío terreno
432Potea, partendo, saziarle appieno.

LV.


     Fea l’istesso cammin l’occhio, e ’l pensiero;
E mal suo grado il piede innanzi giva:
Siccome nave ch’improvviso e fero
436Turbine scioglia dall’amata riva.
La notte andammo, e ’l dì seguente intero
Per lochi ov’orma altrui non appariva.
Ci ricovrammo in un castello alfine,
440Che siede del mio regno in sul confine.