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CANTO QUARTO. 107

XLI.


     Te chiamo, ed in te spero; e in quell’altezza
Puoi tu sol pormi, onde sospinta io fui.
Nè la tua destra esser dee meno avvezza
324Di sollevar, che d’atterrar altrui:
Nè meno il vanto di pietà si prezza,
Che ’l trionfar degli avversarj sui;
E s’hai potuto a molti il regno torre,
328Fia gloria egual nel regno or me riporre.

XLII.


     Ma se la nostra fe varia ti move
A disprezzar forse i miei preghi onesti,
La fe ch’ho certa in tua pietà, mi giove:
332Nè dritto par ch’ella delusa resti.
Testimon è quel Dio ch’a tutti è Giove,
Ch’altrui più giusta aita unqua non desti.
Ma perchè il tutto appieno intenda, or odi
336Le mie sventure insieme, e le altrui frodi.

XLIII.


     Figlia i’ son d’Arbilan, che ’l regno tenne
Del bel Damasco, e in minor sorte nacque:
Ma la bella Cariclia in sposa ottenne,
340Cui farlo erede del suo imperio piacque.
Costei col suo morir quasi prevenne
Il nascer mio; chè in tempo estinta giacque,
Ch’io fuori uscia dell’alvo: e fu il fatale
344Giorno ch’a lei diè morte, a me natale.