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CANTO QUARTO. | 97 |
XI.
Nè ciò gli parve assai; ma in preda a morte,
Sol per farne più danno, il Figlio diede.
Ei venne, e ruppe le tartaree porte,
84E porre osò ne’ regni nostri il piede,
E trarne l’alme a noi dovute in sorte,
E riportarne al Ciel sì ricche prede;
Vincitor trionfando; e in nostro scherno
88Le insegne ivi spiegar del vinto Inferno.
XII.
Ma chè rinnovo i miei dolor parlando?
Chi non ha già l’ingiurie nostre intese?
Ed in qual parte si trovò, nè quando
92Ch’egli cessasse dalle usate imprese?
Non più dèssi alle antiche andar pensando,
Pensar dobbiamo alle presenti offese.
Deh non vedete omai come egli tenti
96Tutte al suo culto richiamar le genti?
XIII.
Noi trarrem neghittosi i giorni, e l’ore,
Nè degna cura fia che ’l cor n’accenda?
E soffrirem che forza ognor maggiore
100Il suo popol fedele in Asia prenda?
E che Giudea soggioghi, e che ’l suo onore,
Che ’l nome suo più si dilati e stenda?
Che suoni in altre lingue, e in altri carmi
104Si scriva, e incida in nuovi bronzi, e marmi?