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     La terra poi, che di color nericcio
Umida e crassa al vomero s’attacca,
320Di molle e trita superficie, quale
Suolsi arando ottener, acconcia ed atta
Al frumento sarà; nè d’altro campo
Vedrai più bovi ricondurti a casa
Carchi di grano a lento passo i carri.

     325E quella pure ottima fia, da cui
Con mano irata l’aratore i boschi
Da lungo tempo sterili e le selve
Svelse da le radici, e i nidi antichi
De gli augelli atterrò: veggionsi questi
330Fuggir per l’aria spaventati, e lieto
Ringiovenir sotto l’aratro il campo.

     Ma l’arsa ghiaia di terren declive
Fuggi che a l’api somministra appena
Poca rugiada e rosmarin; lo scabro
335Tufo arenoso e la tenace fuggi
Creta, corrosa da le nere serpi
A cui non altro suol più grato cibo,
Nè più secreti nascondigli appresta.

     Quel poroso terren facile a bere
340L’umor del pari, e ad esalarlo in lieve