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Pingue d’aromi pareggiar le lodi
De l’Italia potran. Questi felici
220Luoghi arati non furono da tori
Spiranti foco, nè d’immane drago
Videro uscir da i seminati denti
Orrida messe di guerrieri e d’aste;
Ma le campagne lor di bionde spiche
225Coperte lussurreggiano, e di vigne,
E d’oliveti, e di fecondi armenti.
Qui generosi e fervidi destrieri
Veggionsi errar pei campi ergendo
L’alta cervice, e là candide gregge
230E bianchi tori pascolar, di Giove
Ostia maggiore, che sovente aspersi
De l’onde tue, sacro Elitumno, e cinti
Di fior le corna per le vie di Roma
Guidano al tempio i trïonfali cocchi.
235Qui ne l’inverno ancor tepida regna
La primavera, e prolungato usurpa
L’estate i mesi altrui; due volte i frutti
Su le piante maturano, e due volte
Soglion ne l’anno partorir le agnelle.
240Nè qui tana, o natal non ha rabbiosa
Tigre, o fiero leon, nè in torti giri
Squammoso drago sibilando striscia,
Nè incauta man fra le salubri coglie