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struggeria la sublime e sensibile idea della istantanea creazion della luce, e l’accorciamento della seconda cancellerebbe alla fantasia la circonstanziata pittura del nascere dell’aurora.
Che se questi principii servon di regola generale ad ogni originale scrittore, che pur è libero nella scelta e dell’argomento, e dello stile, che più gli piace, molto poi meno potrà prescindere un traduttore, a cui non resta verun arbitrio, e che dev’essere e nella materia e nello stile strettamente legato ed uniforme all’autore, correndo seco con passo uguale, e non più rapido, o lento lo stesso arringo.
Quanto però si mostrerebbe digiuno di queste stesse elementari nozioni chi nella traduzione italiana di un poema latino corresse subito a confrontare le pagine, ed esaminare, se i versi son di numero eguali con quei del testo, e per una falsa idea di precisione credesse una tale uguaglianza o un pregio, o un obbligo del traduttore! A disingannarlo e convincere di questo error puerile basti un solo argomento di popolare evidenza.
Il verso esametro dei latini di sei piedi