Pagina:Georgiche.djvu/119


119

E che dirò de le macchiate linei,
A Bacco sacre, e de i selvaggi lupi,
E de i cani domestici, e de l’aspre
425Pugne che accende amor ne i cervi imbelli?
Ma nulla uguaglia lo sfrenato e cieco
Furor de le cavalle: in lor l’infuse
Venere stessa fin da quando in Potno
Le spinse il corpo a divorar di Glauco.
430Oltre il sonante Ascanio, oltre il sublime
Gargara amor le caccia, e varcan monti,
E foreste attraversano e torrenti.
E quando poi ne la stagion novella
Serpeggiar ne le cupide midolle
435Sentono il noto ardor, su l’alta cima
D’ignude rupi radunate e immote
Stan con la bocca a i zefiri rivolte
L’aure bevendo, e, meraviglia a dirsi!
Senz’altre nozze gravide di vento
440Scendono allor precipitose in fuga
Tra scogli e balze, e per le cupe valli;
E non a l’auro, od al nascente sole
Volgono il corso, ma là, d’onde o coro
Spira, o il freddo aquilon, o il torbid’austro
445Che di piogge dirotte attrista il cielo.
E quindi poi da la concetta fiamma
D’acre e viscoso umor stillano un lento