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il martirio. Talvolta predicava il Cristo agl’idolatri e ne convertì parecchi, i quali ricevettero il battesimo e furono dal martirio coronati. Avuto di ciò contezza l’imperatore Diocleziano, dette in mano l’abborrito Tribuno agli arcieri, perché, legato a un palo, fosse da freccie trafitto. Lasciato là per morto, una santa donna chiamata Irene, accorsa per dargli sepoltura, lo trova ancor vivo. L’artista ritrasse appunto il Santo nell’atto che la vedova di Castulo sta levandogli le freccie, assistita in quell’atto pio dall’Angiolo della Carità, che, mentre consola l’estenuato martire baciandolo in fronte, si accinge a slegarlo dall’albero fatale. In alto alcuni Angioli ben distribuiti assistono a quell’opera meritoria e fanno un bel contrasto con la scena al di sotto. Nel viso del Santo leggi la celestiale rassegnazione di chi nulla desidera né delle cose visibili, né delle invisibili, eccetto il posseder Dio. La vedova è atteggiata a profonda compassione mista ad amorevole riverenza, e giubila al pensare che potrà condurre a casa, curare e risanar dalle ferite l’intrepido campione della fede che farà nuovamente getto della vita, ma dopo d’aver rimproverata al tiranno l’ingiustizia che lo spingeva a perseguitare i Fedeli1. Ben distribuito è il gruppo rispetto all’ordine,
- ↑ Questo bel quadro ha ispirato a G. B. Cremonesi un carme latino di bella fattura, di cui ecco un lodevole saggio:
Tum vero exhaustis ira languente pharetris
Solvitur exanimum fatali ex arbore corpus.
Verum quis liquidis manantia vulnera poenis
Unguentis linget, vulsisque a corpore telis
Hospitio excipiet, media ne functus arena
Daps belvis iaceat, corvisque rapacibus esca.