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l’ha fitta, è una vera miseria; bisogna spigolare di qua e di costà per trarne parti diverse, e poi raffazzonarle unendole per formarne quella eccellenza metafisica che è il Bello Ideale. Siccome non esiste in realtà, cosi lo scopo di questa setta è il perfezionare la natura e la verità. Di comune accordo stabiliscono certe convenzioni loro, dalla freddezza dello studio che assidera l’animo, vengono certe maniere loro di dipingere e scolpire che, imitazioni d’imitazioni, lasciano freddo lo spettatore come l’artefice che le operò; e non aveva né l’ingegno de’ greci, né la credenza religiosa; per la quale era necessario coprire i vizii del panteismo sotto al velame delle allegorie e dei miti, e quindi cercare che sparisse la schifosità della credenza sotto alle apparenze di forme superiori a quelle che sono vere e naturali.
Un’altra setta è di coloro che ricopiano la natura meglio e più volentieri cercando le sue povertà che le ricchezze; che nello scopo morale delle opere dell’arte preferiscono quello che impiccolisce l’uomo, lo avvilisce a’ suoi propri occhi; e lo accenna ad altrui come pericoloso, malvagio, degno di odio e disprezzo. Ritraggono colpe e delitti, miserie e danni, come altri li conta nelle leggende e nelle ballate, li personifica nei drammi, li descrive nelle fole di romanzo. La differenza non consiste per tutti costoro che nelle vesti. Prima usarono le armi luccicanti, il sajone da romito dell’evo medio ed in ispezie dei Crociati; poi i velluti e le gemme delle Corti degli Enrichi e dei Luigi; poi la fustanella ed il cangiare dei Botzari e dei Canaris: adesso che è l’intimo in voga, si studiano i cenci ed il ciarpame dei poveri.