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lo stormir degl’ippogrifi
Aggiogati al suo carro e l’agitarsi
Delle orribili penne e delle giubbe.
Poi la luna e le stelle uscir dall’ombre,
E danzanti nel voto argentei lumi,
E piovere da quelli una dolcezza
Di quïeto splendor sui tenebrosi
Campi che trasvolando io percorrea.
Ed ecco biancheggiarmi, in nebulosa
Lontananza confuso, un breve punto
Che sorgea da’ mairosi irradiati
Dal fioco lampo della luna «Oh giunti
Siam noi?» Richiesi la spiral mia guida.
E quella: «In poco d’ora. Andiam! mi segui!»
E lieve lieve ripiegar sentìa
Per l’inospite lido il portentoso
Manto che ne traea per tanto cielo
Come un plaustro dì nembi. E fuor dell’acque
Una rupe solinga ergea la cresta,
E null’altro che mare, interminato
Mare, in cerchio diffuso, a tergo , a fronte
M’affaticava le pupille; un lido,
Una costa virente al desolato
Emisperio di flutti invan chiedea.
Ruinata dal cielo in quel profondo
Parvemi la scogliera, e congiurate
Tutte l’onde marine, ad ingojarla,
Inferocite le batteano i fianchi;
Ed ella si ridea dell’indefesso
Romoroso travaglio, e non curante
L’eterna rabbia consumar lasciava;
Perché Dio la vi pose, e fino al giorno