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comprendere ancora una storia civile, quella storia meravigliosa ed eterna, che a tutti fu data, e nella quale sono scritti i destini della umanità.
L’Hayez esponeva in quest’anno, oltre al suo bellissimo quadro del vecchio Foscari che depone il ducale berretto, un quadro semplice e severo che figura una delle più ammirande e commoventi scene del Genesi, l’incontro di Giacobbe e d’Esaù. Dopo le tremende pitture della caduta di Adamo, del primo fratricidio, e del diluvio, l’anima nostra è profondamente tocca da quella scena di riconciliazione e di perdono. E fu quella la prima volta che il Signore disse al suo servo: Il tuo nome non sarà Giacobbe, ma Israele, cioè il forte!
Mirabile è la dipintura del fondo di questo quadro, che ti presenta il purissimo orizzonte della terra d’Oriente nell’ora fresca e tranquilla del primo mattino; naturale e saggia la composizione; il colorire pien di gusto e di forza, com’è sempre dell’Hayez; molte teste disegnate e dipinte con un’arte tutta d’affetto, con uno squisito senso di verità e di vaghezza; bella sopra tutte la figura d’Esaù, nella quale vedi dignità, e sublime commovimento: non così, a parer mio, quella di Giacobbe, che avrei voluto forte sì, ma severo, umile, ma pur meno volgare: e così parmi che qualche cosa di più soave insieme e maestoso avrebbe meglio raffigurato in Rachele quel tipo di primitiva bellezza, la donna per la quale Giacobbe aveva speso sette e sette anni di servitù.
Ma più contempli questo quadro, e più ravvisi in esso quell’arte ingenua e sicura di sè medesima, che s’inspira al bello con la coscienza del vero, come io dissi da prima. Ed oh! quanto potrebbe l’Hayez anche