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non perituro, che in ogni tempo e in ogni paese parlerà, per dir così, un linguaggio che tutti gli uomini comprendono, che tutti almeno vogliono ascoltare, il linguaggio della verità. Il bello che conduce al vero, parmi la più grande, la più divina espressione dell’umana intelligenza.
Mi ricordo aver letto, in non so qual libro, che l’arte nelle varie sembianze sotto le quali ne si presenta, è come quella mistica scala di Giacobbe, che da una parte tocca la terra, dall’altra si appoggia al cielo; e che le diverse forme dell’arte ne sono i gradini, onde la nostra mente può salire fino all’immortale Idea. Considerato da questo punto, il magistero dell’artista è ben più grande e solenne di quello che i più non si credano, allorchè presentuosi o incauti si pongono a cimento sulla difficile via, ovvero troppo indifferenti e spensierati estimano poetico sogno la bellezza, codesta religione dell’arte; e in così fatta guisa gettano nel fango il sommo dono del cielo, e si fanno, per dirla in due parole, dell’arte un mestiero. —
Questi pensieri m’occupavano quand’io m’arrestai innanzi alla tela di quel nostro pittore, il cui nome è venerato e caro a Italia tutta. La quale in lui addita uno de’prediletti suoi figli, uno de’pochi, che non disconoscano, come pur si vede fare anche al tempo nostro, il culto dell’arte, lo studio assiduo e severo della natura, che volle nascondere la verità sotto il velo della bellezza. Francesco Hayez non per nulla è nato in quella parte d’Italia, e sotto a quel cielo che inspirò già Tiziano, Tintoretto, e Paolo, e gli altri maestri della veneta scuola.