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dell’Imperatore delle Russie, l’ebbe appena veduta, che gliene commise l’esecuzione, insieme colla statua del Caino, che il Duprè aveva ideato dopo aver esposto l’Abele. Ed ora entrambe queste statue sono state portate in Russia dalla granduchessa, la quale ne fece un presente al padre suo.
Basta dar un’occhiata al disegno dell’Abele, perché non sembri esagerato il giudizio dei Fiorentini intorno a questa statua. Il concetto non può essere più felice.
Lo scultore ha saputo tenersi lontano ugualmente da ogni ardita novità e da ogni servilità accademica.
L’Abele è un tipo consacrato dalle più care memorie, un tipo che tutti hanno nel cuore, e che tutti possono comprendere. L’Abele è la prima vittima espiatoria in sulla terra, il simbolo della mansuetudine e della rassegnazione, che attendono la propria ricompensa in un mondo migliore. È la più perfetta immagine dell’umanità soccombente sotto la forza brutale, ma confortata dalla coscienza di un destino migliore. Nella lotta tra Caino ed Abele è rappresentato il cozzo dei due principii del bene e del male, la lotta del libero arbitrio colla prepotenza. E poiché da seimila anni in poi non altro han fatto gli uomini se non che combattere, soffrire e morire, nulla di più adatto a destare commozione negli animi di quello che raffigurare in un personaggio tradizionale questa lotta, questi patimenti e questa morte.
Ma lo scultore, pur trovando un concetto così discorde dall’antico e così in armonia col sentimento attuale aveva ad eseguire un modello, che dava al tempo istesso nelle più severe regole accademiche. Da un lato ci doveva esprimere il più puro sentimento morale, dall’altro, tutte le più studiate proporzioni del nudo. E