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che imbratta oggidì tutti i giornali e tutti gli almanacchi. L’arte intanto, senza direzione, senza scuola vaga qua e là, incerta di quel che è e di quel che deve essere, ossequiosa ai capricci dei committenti, espressione di un pensiero che non trova un’eco né esteso, né duraturo. Disgiunta affatto dalla letteratura, colla quale ha pur comuni l’origine e l’uffìzio, procede da sé, operando per debolezza quando imita, per istinto quando crea, quasi mai per sicura e potente intuizione del vero. Non già che manchino gli artisti capaci di sublimi creazioni, bensì manca agli artisti il primo alimento dell’arte, il gusto estetico della moltitudine, in mezzo a cui vivono, manca il soccorso della critica elevata e coscienziosa. Quanti ingegni mossero arditi i primi passi sul difficile cammino, e toccarono sul principio a nobile meta, e poscia, abbandonati a sé medesimi, o si trattennero sfiduciati, o fuorviarono allucinati da una falsa immagine del bello. E quando nell’arte si vedono tanti modi d’espressione quanti sono i di lei cultori, quando si vede il prono giornalismo aver parole di lode per tutti indistintamente, come può l’ingegno, anche il più forte, aver la perseveranza del suo primo convincimento? Fortunati quegli artisti, ai quali fin dal primo loro tentativo venne compagno e confortatore il plauso della moltitudine, non incerto, né cercato, ma spontaneo e concorde: più fortunati, quando la pubblica voce si corroborò col sapiente giudizio degli scrittori, e la critica diede all’artista la coscienza di sé medesimo. Chi può dire che Canova avrebbe toccato a sì gran punto di eccellenza nell’arte, se il celebre storico della scultura non gli fosse stato costante sostegno coll’autorità delle sue parole?