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rosei mattini, e quivi morirono riflessi tanti dorati crepuscoli, facendo battere più amorosi o dolenti chi sa mai quanti cuori pieni d’italica passione!

Oh Firenze, Firenze la vaga e la gentile! chi t’ha ammirata e sentita vivamente nell’anima, come vola a te giojoso al vibrare d’ogni tocco, che ti presenti all’immaginoso pensiero! E tutto a te mi chiamava la magica tela che mi fece biancheggiare dinanzi, dentro l’oscure pareti d’un tuo bel tempio, la marmorea creazione del sommo Orgagna, che con tanta ispirazione d’arte quando l’arte era santa, faceva dire al marmo santi concetti. Ho avanti agli occhi, vero nella sua armoniosa maestà, il grande tabernacolo dal possente Artefice eretto1 per accogliere l’immagine miracolosa della Vergine, ch’era dipinta da prima sull’uno de’ pilastri dell’antico portico a San Michele in Orto, aperto a pubblico granajo, il quale, per onoranza di quella sacra effigie, si tramutò (opera consueta della Fede) in una delle chiese della ricca Firenze, ammiranda per istupendi lavori di valorosi maestri, che nell’interna parte e per tutto all’esterno vi fanno adornamento. E la maggiore e più sontuosa opera, per cui va celebre quel religioso edifizio, è questo tabernacolo d’Andrea Orgagna, che sotto la sua volta, quasi altro tempio, s’erge portentoso, tutto fiorito d’ornati, di figure, scolpite sì intere che a basso rilievo, e sparso di preziose pietre a colori, postevi con sapiente lavoro a tarsia, riccamente profuse; ed è cinto poi intorno intorno da bella grata

  1. L’anno 1347.