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tà; di quell’Etruria che, eclissata, o meglio celata per secoli dallo splendore del latino impero, risorse poi nella sua pristina sede, all’uscire dalle tenebre dell’evo medio, con un aspetto, se dal primo totalmente diverso, segnato però da quella squisita e fina impronta, che gli fu propria nei lontani tempi, e che riapparendo in nuova forma, costituì il tipo italico, ch’è il vero atticismo de’ tre famosi secoli dopo il ducento.

E facendo rivivere col pensiero que’ che di tal tempo popolavano la toscana cerchia cittadina, artisti, poeti, reggitori, armigeri, giovani corteggiatori, donne amorose, viene alla mente alcun che di poetico, di gentile, di dignitoso, di valente, una eleganza, una ricchezza di forme, una arguta perspicacia, una penetrazione profonda, tutto ciò insomma che dir ponno alla calda fantasia, i nomi, così della Fiammetta del Bocaccio, come della Benci del Ghirlandajo, così del Ferruccio, come di Macchiavello, di Michelangelo, del Cellini, e più di ogni altro di colui, che quivi nacque in umile casetta, Dante Allighieri.

E sii tu lombardo, ligure, di Romagna, o di Calabria, visitando quella città, maestra a noi comune di favella, sentirai, più che nella tua patria stessa, risuonarti all’anima un’eco armoniosa delle età smarrite. Eccoti i suoi palagi, i suoi templi, le vie, le piazze, le cui sole appellazioni sono vive scene di storia. Eccoti l’Arno famoso. Questo è il ponte di Santa Trinita. Dal bel mezzo di esso, se guardi contro la correntìa del fiume, ti sta in faccia Ponte Vecchio, ch’è tutto una fila di case, aperta nel mezzo dal vano di tre archi, al di là de’ quali l’occhio scorge la linea dolcissima de’ colli, che sono quelli stessi su cui dalla destra, appare San