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meta sospirata per tenerli occupati nel fascino della bellezza, non solo avrebbe servito a un sentimento di galanteria, ma avrebbe rappresentato eziandio una delle più grandi verità morali.
Uomini che non si curano della bellezza e che s’accordano cortesemente fra loro per cogliere i frutti più desiderati della vita, non saprei trovarli in nessun umano consorzio, neppur in una società di quaccheri.
I lettori però non piglino la cosa tanto pel sottile, e non cerchino nel gruppo del Manfredini nessun albero della vita e nessun pensiero sociale. L’osservino tutt’al più come una cuccagna qualunque, intorno alla quale folleggiano e s’arrampicano alcuni vispi fanciulletti. Vi cerchino la purezza del disegno, il brio e la facilità degli atteggiamenti, la bellezza delle forme, la grazia dei volti, tutta insomma la più accurata esecuzione artistica. Di questi pregi abbonda il gruppo del Manfredini, e per essi ebbe assai favorevole il pubblico giudizio. Tant’e tanto la scultura umanitaria non fu per anco inventata, e chi ardisse di farlo, si buscherebbe per lo meno del matto. Il Manfredini adunque può esser lieto d’aver esposto un gruppo di bimbi, che non la cedono in paragone ai graziosi amorini dell’Albano: a coloro poi che volessero ad ogni costo cercare in quelli un’allegoria, potrebbe rispondere ch’egli ha inteso di scolpir dei bambini. Del resto, ciascuno è libero di cavarne quell’interpretazione che più gli piace. E chi volesse assolutamente veder gli uomini rappresentati in sembianza di bambini, lo faccia, ché alla fin fine non andrà molto discosto dal vero.
C. Tenca