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metteva pietà più che dispetto. Ma al primo veder la fanciulla ingenua, gaja, spensierata, una nube di malinconia gli offuscò la mente; e in quella sera, per la prima volta, sentì rammarico del suo nome oscuro, della onesta stia povertà.
Nessuno aveva notato la mesta attenzione di lui, fuorché la leggiadra damigella, gli occhi della quale s’erano incontrati due volte con quelli del giovine. Ma, l’insipido cicaleccio del buon genere, le gentili parolette, le inzuccherate allusioni di parecchi zerbini sviarono gl’irrequieti pensieri della fanciulla, l’abbagliarono la sedussero. Ella dava orecchio a quelle studiate lusinghe, a quelle mezze proteste che sì facilmente allacciano il cuore di una giovinetta inesperta e desiosa di trovar veri nella sua vita i suoi sogni di amore. Fra tutti quegli schiavi che la bella ereditiera aveva letto al suo carro, o piuttosto allo scrigno di suo padre, fra tutti coloro, che con melliflua insolenza non facendo mai onta alle leggi elastiche, del bel mondo, le si profersero l’un dopo l’altro adoratori, ella incautamente scelse colui che doveva essere ben presto la prima cagione della sua sciagura.
Giovine bello, e re del mondo elegante, il cavaliere seduceva colla squisita sua attilatura e con so qual petulanza di spirito la facile cortesia delle belle donne, le quali con vanto geloso se lo rubavano a gara. Si parlava di certa misteriosa avventura, che avea messa a rischio la sua vita e l’onore altrui: bastava questo per farlo un necessario ornamento de’ circoli e delle compagnie, un caro pericolo a’ cuori troppo ardenti e leggeri delle dame e delle giovinette; ma avea di più una fortuna mezzo rovinata e un buon duello, comunque innocente e senza conseguenze.