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ov’era vissuta fra le carezze e nell’abbandono della sua vispa adolescenza, ignara del male e troppo fiduciosa di sé medesima, quando vedevasi dinanzi, tal quale ancora fosse viva, la serena sembianza di sua madre, quell’anima santa che il Signore troppo presto aveva rivoluto nel cielo, oh allora desiderava l’infelice di non esser nata, o almeno di aver chiuso gli occhi alla vita quand’era tuttora bambina!

Nella solitudine e nella povertà, la ricordanza del passato le si affacciava sempre affannosa, inesorabile, e piena di sgomento. Eppure non poteva distaccarsi da quel passato, e avrebbe creduto di non viver più, dove le fosse stato possibile cosa il dimenticarsi. Vedeva la sua piccola e ornata stanzetta al secondo piano della paterna casa; le tende candide, ricamate, del balcone che guardava il giardino, la trasparente cortina del suo quieto letto dove aveva dormito per tanti anni que’ sonni che non dovevano scendere più sulle sue pupille. Vedeva lo sculto inginocchiatojo da un lato, la rabescata e lucida specchiera dall’altro; il suo scrittojo del bel legno intarsiato, la piccola libreria, e l’adorno telajo, a cui s’era seduta le tante volte a trapuntare i bei fiori cantando.

Ma i lieti anni suoi erano troppo presto svaniti! E tornava a quel tempo, e le pareva di vedere la severa faccia del padre suo, d’ascoltare quelle parole gravi ed amare che sì di sovente le pesavano sul cuore. Quell’uomo vecchio e serio, che rade volte l’aveva chiamata col nome di figlia, le stava tuttora dinanzi col suo abito nero, co’ suoi bianchi capegli incipriati, con quello sguardo fiso e penetrante che faceva tremare le più segrete fibre dell’intimo suo. Era un gran signore a