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dato che alle menti viziate, il gustare a lungo le bizzarrie, le stranezze e mostruosità. Il nostro Canella è di quei pochi che non si avvisano di superare il bello della verità; di que’ pochi che sentono che non si può esser più varj, più grandi, più commoventi della natura, che mostrano alla prova di essere profondamente persuasi come chi cammini sulle orme di quel vero che tutti possiamo vedere non può mai perdere del suo prestigio, perché non arriverà mai tempo che alcuno lo abbia a convincere che si appoggiasse sul falso. Quando io miro questa bellissima tela, non dico a me stesso, dove siam noi?

Non vi ha dunque che un solo aspetto sotto cui l’austera figura dell’inverno valga la pena d’esser contemplata? Quelle nostre belle giornate del gennajo quando al mattino, affacciandoci alla finestra, vediamo il sole che pallido ma pur non triste ci sorge di fronte come per invitarci ad uscire all’aperto, non possono dunque eccitare la fantasia dell’artista? Pur le sono delle più dolci giornate dell’anno, pur fanno frequenti di passeggiatori le nostre vie, rinfrancano le nostre membra bisognose di moto, e allora il sangue ci corre vigoroso nelle vene, si dissipano le nostre cure.

Che bisogno abbiam noi di perpetue nevi, di stemperate pioggie, di furiosi aquiloni, di valanghe per commoverci, come se tutto dì non avessimo altro sotto gli occhi? Io non intendo riprovare chi volle dipingere il verno nelle più orride sue sembianze: questo pure è vero, e il vero è sempre bello; ma non è bella la monotonia, non è bello il manierismo, il ripetersi continuo delle stesse scene, il ricorrere mai sempre a delle eccezioni per ottenere un dato effetto. Eccitare forti impressioni con mezzi straordinarj non è difficil cosa; la