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tramutano in poco meno che un eculeo di martiri, e ne fanno un testimonio nefando di reciproche perfidie e tradimenti, tali sono le immagini che più le talentano, dacché le lettere prostituendosi assunsero il troppo facile incarico di mettere sul trono le passioni più turpi, e rappresentarle come una fatalità ineluttabile che aggira ogni mortale, come la serpe implica nelle terribili sue spire l’incauto viandante. Resta però sempre una non piccola parte della società, che, estranea a così fatte pazzie e cupi capricci della moda, non crede che per ammazzar la noja debba volontariamente torturarsi colla lettura di strane vicende e atroci e misteriosi delitti.
Questa non isdegna le modeste e tranquille gioje del paterno focolare; questa conosce per prova quanto sia dolce cosa, mentre la neve cade a lente falde sui tetti, sul lastrico delle vie, sui campi d’intorno, e l’aria è cruda, il cielo tutto velato, sedersi presso a un bel fuoco fra una gaja corona di vispi fanciulli che scherzano e giuocano sotto gli occhi tuoi, o fra una brigatella di buoni amici, che vengano a ricambiare con te i loro pensieri e le semplici loro cure. È questa l’ora che il figlio del montanaro scozzese dalle labbra del padre impara le antiche canzoni che già animarono le tante
volte il suo Clan alla battaglia; è l’ora che le fanciulle di Altorf e di Svitz ricordano nei loro canti il lamento delle antiche vergini elvetiche ansiose pei prodi fidanzatati mossi a fiaccar l’orgoglio del Borgognone; è l’ora che il veterano, superstite ai fasti di un’impero che dileguò come un sogno, rammenta i pericoli, le vicende, le superbe gioje di una gioventù sudata fra le armi sotto diverso cielo, e, passando come a rassegna le sue memorie, ad ogni nome