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quasi ti viene in ira la superba signoria del sole sopra tutte le cose. È bello è, è stupendo lo spettacolo di questo primo ministro della natura; ma l’occhio non può reggere al suo splendore; maravigliosa è la pompa della sua bellezza, più maravigliosa ancora la sua virtù creatrice di sempre nuove ricchezze; ma l’aere ti porta nel petto una fiamma che lenta ti consuma; il corpo, come accasciato sotto l’improbo peso di una mole che ti preme, vien meno; l’animo quasi vinto da un fascino fatale, più non trova le sue forze e pare che si addormenti sopra sé stesso. Domandate al contadino quante volte sotto il sollione, sparsa la fronte di sudore, ristette pensoso sulla stiva, o sulla marra, guardando amaramente la terra che gli resta tuttavia a dissodare! Tutto è serenità, tutto è vita a lui d’intorno; ma il suo sguardo è languido, rotte le membra, l’anelito affannoso; tutto è esultanza nei fiori, nelle erbe, nelle acque; ma l’uccello nel bosco più non canta; ma deserta è la via, tacenti i campi che danno imagine di una immensa solitudine, che, ricca d’ogni tesoro, non aspetti che la presenza dell’uomo per giocondarla. L’operajo nell’officina si sente come da una cieca possanza che lo perseguiti affrangere le braccia nerborute; rombano i mantici, suona il pesante martello sull’incudine, stride la sega: ma la voce dell’uomo, la voce potente, interprete della vita, è muta. Chi esercita l’anima irrequieta nelle solitarie vie della sapienza, credeva poc’anzi lo spirito arbitro supremo dei sensi, ciechi organi che riducono in atti i suoi voleri; ora sente che la materia pesa sullo spirito tiranna; le immagini gli sfumano incerte nella fantasia; la volontà fiacca e indolente non sa risolversi ad un partito. Allora il poeta sospende il