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mezzo affondate, valanghe fra la cui ruine fruga paziente il cane del S. Bernardo per disseppellire un misero viandante che n’esce solo col capo e colle estremità delle braccia, mentre al violento curvarsi delle piante, al color cenerognolo del cielo, alle larghe falde di neve qua e là svolazzanti, quasi candida polvere, ti accorgi che stride il vento e imperversa la tormenta, tali sono le immagini di che si compiace il pittore. Siffatte scene possono riuscire assai belle e commovere profondamente il cuore de’ risguardanti, ai quali non è forse inutile sotto più mite clima ricordare la misera sorte di chi, uguale ad essi per natura, è, ridotto a vivere sotto sì aspro cielo fra tanta e sì fiera vicenda di pericoli. Pure ameremmo talvolta veder la faccia del verno un po’ men trista, ameremmo vederlo spianare, per dir così, quella fronte accigliata, schiudere un tal poco le labbra ad un sorriso mesto, se volete, ma pur sempre giocondo.
Tale le più volte il vediam noi figliuoli del mezzodì, ai quali la natura riserba le sue grazie privilegiate.
Se le piante ci appajono nude di foglie, se i campi, se i colli, se le valli più non ci rallegrano la vista col loro verde, e coll’armonica varietà de’ fiori, non però il sole ci niega il conforto della sua faccia.
L’occhio facile trascorre più lontano come in libero campo, e si spazia più sublime nel cielo; se breve è il dominio della luce che, come frettolosa viaggiatrice, pare che appena si degni volgerne un saluto, impaziente di rallegrare più fortunate spiaggie, in compenso quanto bella ne appare la notte! Direbbesi che trovi al
lora nuove stelle per fregiare il suo manto, che gli astri brillino di nuova luce, sì schietti campeggiano nell’immenso spazio de’ cieli. È allora che