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dalla religione, dal gusto odierno?
Perché, solo a riguardo di lei si vorrà infranto il misterioso legame, l’indeffinibile accordo che annodar pur deve lo stato della società e le condizioni dell’arte? Ma io non intendo fare il maestro, e qui volevo unicamente accennare ai grandi ostacoli che il Bisetti ha comuni con molti de’ suoi colleghi, per trarne argomento d’encomio, avendo egli saputo mostrar perizia meglio che giovanile nell’infondere all’opera sua tutta quella novità e quella vita che poteva desiderarsi.
La sua Venere è a sedici o diciasette anni, nell’età del candore e delle grazie, fanciulla di forme svelte e gentili, forse d’aspetto più casto che non si conviene alla sensuale Ciprigna. Essa è in atto di scender nel bagno, nel quale sta per immergere il destro piede, e quasi conscia che curioso nume o audace mortale faccia capolino fra le macchie della verde riva, rivolge un po’ a manca la testa siccome chi teme ed esplora. Nell’intento di schermirsi dalle ammirazioni indiscrete si studia di coprirsi d’un lieve drappo che foggiato a fascia ella sostiene colla sinistra di sotto al petto, e dopo averlo aggirato riprende colla destra graziosamente piegata. Piacente è la generale espressione della figura, ben disegnate le forme, ben conservato l’insieme, e la prima impressione che altri prova davanti alla statua è una attrattiva gradevole. Se non che ad interromper la lode pronta a venir sulle labbra dei riguardanti, può insorger qualche osservazione intorno ai lineamenti del volto, ed al carattere della fisonomia. Recano questi veramente l’impronto di quella grazia ideale di quella greca bellezza, che a rappresentar Venere è passata in universal convenzione? No per