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uscito del lavoratorio del grande Finelli, il quale promettea di voler far onore al maestro, e di sollevarsi oltre la sfera della mediocrità. Egli esponeva a’ quei giorni un modello di statua, ed io, che della sua valentia avea già avuto bel saggio in alcuni bassi rilievi egregiamente imaginati, ed in molti busti e ritratti condotti a squisita perfezione, ebbi argomento di confermare la stima già concetta, e per dargliene testimonianza scriveva nel giornal Tiberino un articolo concepito press’a poco in tal forma:
«Ritrarre in marmo una Venere dopo che i più celebri scultori da Fidia a Finelli ne fecero favorito argomento di studio, ritrarla qual si addice alla Diva della bellezza, senza macchiarsi di plagio, è opera che più presto si direbbe impossibile che ardua. Ma la fantasia dell’artista ha il privilegio di scoprire non avvertiti recessi anche nelle più esplorate regioni, e di coglier combinazioni insperate anche là dove ogni elemento sembra esaurito. Difficile certamente è il problema che si offre da risolvere al signor Bisetti, e chi comanda ad uno scultore giovane l’esecuzione d’una statua di Venere mostra o di far poca
stima delle difficoltà, o di farne moltissima dell’esecutore; ed io penso che pochi ardirebbon di lor talento cimentarsi a trattare un soggetto, del quale sì magnifici ed ammirati si vedon per tutto antichi e moderni modelli. Io, per me, e lo dirò con buona pace dei mitomani, non ho mai cessato dal rimpianger la sorte degli scultori, ai quali quasi sempre una cieca abitudine impone di retroceder secoli e secoli, onde ispirarsi alle smorte memorie delle olimpiche divinità. E perché si vuol dannar la scultura a vivere segregata dai nostri costumi, dall’indole nazionale,