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gna a volere interessarsi perchè fosse restituito l’appannaggio a suo figlio. Quegli rispose che non spettava nè al Congresso nè a lui, ma che il principe stesso scrivesse direttamente al Re, pregandolo a fargli conoscere le sue intenzioni al di lui riguardo. E allora Vittorio Emanuele, comprendendo che tutto il Piemonte considerava il giovinetto come suo erede, lo invitò ad andare a Torino, ove lo accolse amorevolmente, e gli si affezionò assai, spiacendogli solo le idee liberali di cui l’aveva imbevuto l’educazione materna (idee però che dovevano poi essere la fortuna d’Italia), e deliberato a trattenerlo oramai per sempre al suo fianco, pensò a ritirare seco anche la di lui sorella.

A questa notizia, recatale dall’ambasciatore del Re in Francia, Cristina Albertina che da qualche tempo era cagionevole di salute, e minacciata di etisia, scoppiò in pianto, però con parola accorta e temperata, non creduta possibile al suo focoso carattere, rispose:

— Sono dolente che S. M. abbia potuto credere per un momento ch’io non abbia per Essa tutti quei sentimenti che devo avere, e non nutra la volontà di compiacerlo sempre. E sono sensibilissima per la bontà da lui dimostrata a mio figlio, e per quella che si dispone ad avere per la figliuola; ma chiedendomi il maggior sacrifizio che si possa imporre ad una madre, desidererei che si mostrasse qualche riguardo anche per questa, lusingando un poco il suo amor proprio, ed evitando, nel tempo stesso, tutto ciò che potrebbe umiliarla, e ricadere da lei sui figli, che ne porterebbero