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tro figliuoletti (tre bambine, due delle quali gemelle, ed un maschio), seguì sempre il marito nelle sue spedizioni, nei suoi viaggi, allorché esso di ciò la richiese.

Quando nel 1799, cacciati i francesi, il Piemonte venne occupato dagli austriaci, che vi usarono tante vessazioni, Maria Teresa, che allora nessuno aveva ancora pensato a chiamare l’austriaca, e che divideva tutti gli affetti e tutti gli interessi della Casa nella quale era entrata, fu tra i primi a lamentarsi di quegli alleati invasori. Essa si trovava allora col marito a Vercelli, venuti dalla Sardegna per recarsi al quartiere generale russo, ed ivi fermati e consigliati a trattenersi dagli austriaci, che la facevano soli da padroni. Di quella soverchieria la giovine Duchessa si risentì altamente, e scrivendo al cognato Carlo Felice, ebbe a dire: «Infine noi siamo spettatori di tutto questo, e lo conto per la prima anticamera del nostro purgatorio, perchè il mio amor proprio vi soffre l’impossibile.» E dieci mesi appresso scriveva ancora al medesimo: «Noi siamo sempre qui come Griselda in casa sua servendo la nuova padrona, e questa idea mi è sopratutto presente ai balli, dove vi sono sempre degli austriaci che, quantunque cortesi, m’imbarazzano oltre ogni dire.»

Ritornata in Sardegna, Maria Teresa ebbe colà a subire il dolore più forte che sia riserbato di provare ad una donna. Il suo grazioso bambino, un amorino di tre anni, l’unico rampollo maschio su cui pavidi e irrequieti si posavano gli sguardi della desolata fa-