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sùbita partenza. Toccò a lei a rialzare gli spiriti abbattuti, asciugare le lacrime che la disperazione strappava, dare le più savie disposizioni perchè la bisogna si compiesse nel più breve tempo possibile, dirigerla con prudenza e giustizia, ristringere il personale di servizio, far gradire le scuse a chi non portava seco, esprimere la gratitudine a chi, per non separarsi, aveva detto di seguirli senza interesse alcuno, venire ad umili richieste coi capi francesi per la revoca di qualche ordine desolante, occuparsi amorevolmente del Re, che in quell’ore terribili era soggiaciuto ad un nuovo attacco, e tutto ciò compiè in brevi ore questa principessa, il cui rimpianto più piccolo fu quello di lasciare il trono.

Alle dieci di sera del 9 dicembre 1798, la famiglia Sabauda lasciò l’antico palazzo degli avi. Tutti erano accasciati, e solo rifulgeva la serenità d’animo della Regina. Gli esuli illustri discesero le scale al lume delle torcie, e traversarono il giardino scortati da trenta cavalieri piemontesi e da trenta dragoni francesi. La commozione e il dolore erano dipinti su tutti i volti. Il Re salì silenzioso colla Regina nella prima carrozza: la neve cadeva a grossi fiocchi, ed il cielo era oscurissimo. Il corteggio si componeva di trenta carrozze, che, illuminate sinistramente dalla luce rossastra delle torcie a vento, si avviavan silenziose per la via maestra che scende pel centro d’Italia.

Per la via, trovarono nelle osterie alloggi impossibili, curiosità che stancavano, baccano da’ stordire.