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Intanto anche a Roma era sorta la repubblica, e Pio VI costretto ad andare in esilio. Carlo Emanuele, prostrato d’animo e di corpo, tormentato dalla malattia nervosa che lo affliggeva, sentendosi troppo inferiore alle difficoltà che lo circondavano, voleva abdicare, ma la Regina lo esortò a non deporre il peso della corona, appunto perchè era grave, e di compiere sino alla fine il suo dovere di Principe. La Francia intanto continuava a simulare amicizia pel Piemonte, spodestandolo via via, senza che il Re lo comprendesse, tanto da giungere fino ad impadronirsi di alcune città e della cittadella di Torino; e, colla scusa di frenare gli insorti, avocando a sé ogni autorità. Arrivato a questo punto, il triumvirato non indietreggiò dinanzi all’idea di chiedere al Re una rinunzia, accusandolo di tradimento perchè alla sua Corte accoglieva i ministri plenipotenziari di Russia e d’Inghilterra.

Fu qui che la virtù e la rassegnazione di Maria Clotilde rifulsero in tutto il loro splendore; e in tutte le disgrazie che afflissero poi la famiglia Sabauda, ella mostrò la forza d’animo che l’aveva sorretta nella catastrofe della sua propria famiglia. Riportandosi tutta ai decreti di Dio, che, ella diceva, vuole formati i Re e i popoli alla scuola dell’avversità, ispirava e sosteneva, colle parole e coll’esempio, il marito.

Carlo Emanuele aveva oramai compreso che lo scettro sostenuto per mille anni dalla sua famiglia si frangeva nelle sue mani, e non gli rimaneva più che da salvare l’onore. Pure, alla richiesta di abdicazione,