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Le premure di quell’ottima signora, la quale, forse temendo che in quella farraggine di principesse della Casa di Francia difficilmente Clotilde avrebbe potuto maritarsi, la preparava a incontrare così, senza fatica, altro destino, furono coronate da un successo che superò le sue speranze; tanto che, appena giovinetta, voleva seguire l’esempio della minore delle sue zie, la principessa Luisa, e farsi monaca nelle Carmelitane a S. Dionigi. E certo il suo voto sarebbe stato esaudito, se la morte di Luigi XV non avesse cambiato molte cose, e altrettante l’ascensione al trono di suo fratello Luigi XVI, che le proibì la monacazione.

Clotilde restò dunque nel mondo, e il suo più vivo pensiero fu di curare attentamente l’educazione della sorellina Elisabetta, alla quale era riserbata sì triste sorte, e ad ispirarle in cuore sensi di religione e di pietà, che dovevano essere poi di sì valido sostegno alla infelice prigioniera del Tempio, alla compagna di Maria Antonietta sul palco fatale.

Ma allora sì tristi giorni erano ben lontani, e le due principessine, a cui sembrava che tutto sorridesse nel mondo, provavano dolci soddisfazioni a portare almeno un raggio di felicità nei tuguri e negli ospedali, soccorrendo i poverelli e gli infermi, imitando così la bontà della madre e dell’ava, la cui virtuosa fama risuonava ancora intorno ad esse. Clotilde poi, appena uno dei suoi di famiglia, o anche qualche famigliare cadeva ammalato, non cedeva a nessuno il diritto di fargli da infermiera.