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maria giovanna battista | 265 |
triste e sconsolata a Torino, e in data del dì 8 ottobre scriveva al conte di S. Maurizio: «Sono tanto abbattuta e dimagrata che non mi si conosce più». Forse era più scoraggiata del Duca stesso, che quando migliorava dimenticava tutti i timori e le malinconie.
Tra piemontesi e genovesi, retti questi a repubblica, era sempre latente un odio che si trasmetteva di generazione in generazione come una vendetta nazionale, e che scoppiò finalmente, determinato, nella guerra del 1672. Carlo Emanuele II non era soldato, e durante la medesima stava a Veneria o a Rivoli, facendo progetti per avere aiuti e risorse, indignatissimo contro la Francia che glieli negava, e di un tristissimo umore, cosa che accadeva sempre quando le cose non andavano precisamente a suo modo.
L’inverno però e la pace ricondussero la tranquillità alla Corte, e con essi quelle feste tutte italiane, meno brillanti, ma più piacevoli per la Duchessa, di quelle della Corte francese, e che avevano luogo nell’intimità della residenza del Valentino, senza nulla di officiale. Fu in una di queste feste appunto che Carlo Emanuele, il quale vi si abbandonava con vivo trasporto, corse pericolo, correndo al fachino, di fare la morte di Enrico II, essendo stato ferito in un occhio da una scheggia di lancia.
E qui è necessario notare, a difesa di Giovanna, accusata da certi scrittori di non essere stata, da vedova, insensibile all’affetto di qualcuno, che Carlo Emanuele, sebbene non cattivo, e sebbene l’avesse scelta di