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maria cristina di borbone | 229 |
sare col bene, onde, anche operando sinistramente da un lato, trovare la via media operando rettamente dall’altro. E questa logica non corrispondeva all’aspettativa di Richelieu.
Era magnanima nei concetti, splendida nel donare, ma s’inalberava al pensiero di dover cedere parte della sua autorità. Ciò nocque assai al paese e alle popolazioni, perchè se essa, fin dal principio, fosse stata più conciliante coi cognati, come dovè esserlo per forza tre anni appresso, avrebbe risparmiato molte calamità al Governo e alle persone.
Mentre era così gelosa della sua potestà, senza accorgersene l’avrebbe ceduta tutta a chi sapeva raggirare il di lei cuore, come il suo ministro favorito, il conte Filippo d’Agliè. Fortunatamente, questo gentiluomo, di cui dovremo occuparci in seguito, pensava più al bene della patria che al suo particolare, e si deve alla sua influenza buona parte del bene che Cristina fece nell’interesse d’Italia e dei figli.
Del resto, la vita pubblica di Cristina durante la Reggenza, può riassumersi in due parole: lotta e sacrifizio; se non che, felice del ricambiato affetto dei figli e delle calme gioie della vita privata, si ritemprava in questa per quelli, come nella spensierata e dispendiosa vita di Corte, soffocava le noie e le angustie della vita politica.
Posta a dure prove sin dal principio del suo governo, in qualche momento parve piegare dal suo programma, che era di mantenere l’indipendenza del Pie-