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maria cristina di borbone 221

Terminate le feste, detto addio alla patria, Cristina col marito s’indirizzò a Grenoble, ove Carlo Emanuele erasi recato ad incontrare la giovane nuora, dalla -quale rimase subito affascinato.

Egli volle che sul Cenisio non mancasse agli sposi un’accoglienza geniale, e perciò aveva fatto edificare a Susa un palazzo di nove stanze, con portico retto da due colonne latine, appositamente. Ivi fu loro dato lo spettacolo di una giostra, e la festa fu accompagnata da una tal quiete e serenità d’aria e di cielo insolita in quella regione, che ciò parve presagio di felicità per l’augusta coppia.

A Chambéry la popolazione acclamò entusiasticamente la sposina, e Torino l’accolse con feste, luminarie, tornei, ed una grande rivista data in suo onore, nei pressi del Valentino, possesso di cui il Duca le fece omaggio, come dono di nozze.

I matrimoni principeschi, osserva il Bazzoni nel suovolume su Maria Cristina, sono sempre fatti senza investigare la volontà degli sposi. La politica li consiglia, li guida, li conferma. Da ciò spesso la sventura di due esseri, di differenti aspirazioni, congiunti così indissolubilmente. Cristina fu, come tante sue pari, condotta al talamo inconscia di quanto stava per fare: ignoto le era il marito, i parenti, il popolo di cui in seguito avrebbe dovuto forse governare i destini.

Per felice combinazione, Vittorio Amedeo era inclinato alle miti dolcezze della famiglia, e studiando con premura ed interesse la giovinetta affidatagli, su-