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vrebbe avere che sorrisi, la sua veniva crudelmente spezzata!

Con Carlo I si estingueva la brillante meteora, che aveva per poco illuminato il Piemonte, facendogli sperare in giorni migliori, giacché egli aveva compreso, e fatto comprendere agli altri, qual dovesse essere la via da tenersi politicamente. Emanciparsi risolutamente dalla Francia, affermare la superiorità della sua casa in tutto il Piemonte, e mediante l’unione intima con Milano, assicurarsi il predominio assoluto nell’alta Italia. Arduo compito, ch’egli avrebbe esaurito in mezzo agli applausi e al sostegno delle sue popolazioni, che ora invece sconfortate guardavano la corona ducale passata sulla tenera fronte di un esserino di nove mesi. — E s’invidiano i grandi!

La povera Bianca non poteva avere neppure il conforto che nel suo immenso dolore è concesso alla più umile donnicciuola. Essa non potè chiudersi nella solitudine, isolarsi e piangere, fino che almeno una calma relativa fosse ritornata nel suo cuore. Stretta da mille preoccupazioni per l’avvenire, mentre la salma del Duca non era ancor chiusa nella tomba, essa dovè ricevere sudditi e vassalli, che le si affollavano intorno per rinnovarle l’omaggio di sottomissione e servitù, per chiederle in nome del figlio conferma d’impieghi e di cariche, per riceverne ordini, per implorarne la benevolenza, con quella egoistica premura di chi, per l’interesse proprio, non calcola il dolore altrui. Ed essa non respinse nessuno, ma celando a fatica le lacrime,