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stato in quel tempo in mano di un uomo di cuore e di valore, i Milanesi, riuniti fin d’allora al Piemonte, avrebbero formato il possente nucleo di questa anelata unità italiana, oggetto, per secoli, di tanti voti e tanti sacrifizi.

Ma le porte di Milano si aprirono invece alle masnade dello Sforza, che sostituì il suo dominio a quello di una Repubblica effimera e impotente.

Allora Maria di Savoia, mostratasi così degna della riconoscenza della sua famiglia, e di quella postuma degli italiani, lasciò la città che l’aveva accolta e festeggiata sposa e signora, e tornò in Piemonte, e con lei sparì dalla Corte di Milano quanto di eletto e di intatto erasi conservato sotto i Visconti.

Così sola, così incompresa, Maria ebbe allora un momento di accasciamento e di debolezza; la vita le sembrò stupida ed inutile, e pianse desolata: ma scossa dall’intorpidimento morale che l’aveva sopraffatta, pensò che niuno è quaggiù sulla terra per caso, che tutti abbiamo una missione da compiervi, e che tanto più ce ne facciamo un merito innanzi a Dio, quanto più la si compie serenamente. Perciò, guardatasi intorno, riflettè e comprese; e dato un solenne addio alle effimere grandezze e alle soddisfazioni umane, si consacrò agli infelici.

Con questi intendimenti, essa prese il velo monacale in S. Chiara a Torino, ove, nella pratica di ogni virtù, finì in breve la sua mortale carriera nel 1458.