la comperorno da’ Sassetti e fecionla dipignere a Domenico del Grillandaio. Fece ancora la capella di santo Tommaso d’Aquino degli Strozzi, nella qual’è il paradiso e l’inferno. Dipinse ancora in santa Croce dietro al pergamo que’ tre quadri ne l’uno de’ quali è il iudizio, nell’altro il paradiso et ne l’altro l’inferno, dove egli ritrasse di naturale Guardi messo tirato con uno oncino da diavoli per uno sdegno che egli aveva seco, che l’aveva di già pegnorato; come può vedere ciascheduno, et è quello che à quella berretta bianca in capo con quattro gigli rossi, che così andavono allora i messi del comune di Firenze. La qual cosa dicono avere fatto ancora Michelagnolo a Roma avendo dipinto nel suo inferno il maestro delle cirimonie del papa per avergli fatto non so che dispiacere. Dipinse ancora una cappella in santa Croce, et oltre alla pittura dette ancora opera alla architettura et alla scultura, et è opera di suo disegno Orsanmichele che si murò ne 1360 di roba et danari che eron rimasti di genti morte ne la morìa di 1348 che non se ne trovava heredi, la qual morìa è quella di che parla il Boccaccio nel principio del suo Centonovelle, et fu tanta spaventevole et scura che rimase un proverbio ne la città nostra, il quale dura ancora insino a’ tempi nostri, che quando si vuol dire che una cosa è orribile e spaventosa si dice ella par la morìa del quarantotto. E costò questo edifizio 86 migliaia di fiorini, e fu fatto il di sotto per oratorio et il di sopra per serbare i grani del comune, e fu chiamato l’Orreo, che in latino vuol dire granaio, di san Michele per rispetto a quella chiesa di san Michele che gli è apresso, et oggi è corrotto il vocabolo e dicesi orto di san Michele e dipoi Orsanmichele, e però sopra la scala che va su è fatto di mezzo rilievo in pietra uno staio con certe spighe di grano di sopra. Fece di suo mano quella storia di marmo che è dirietro al tabernacolo di detto oratorio dove egli si ritrasse di naturale, et