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rabili creazioni dei sommi maestri nati fuori del dominio fiorentino non fece il minimo accenno, e questo mi sembra sicuro indizio d’animo deliberato a negare qualsiasi valore all’opera loro. Per me il Gelli (1498 † 1563) si fece eco delle vantazioni dei concittadini un poco menomate dal Vasari aretino nelle Vite da lui principiate nel 1546 e stampate nel 1550. Recente e profonda era l’impressione prodotta dal volume del pittore d’Arezzo, ed il Gelli, nel prendere a trattare il medesimo argomento, e volere attribuire ai soli Fiorentini i progressi delle arti, dovè prefiggersi di ristabilire la leggenda dai buoni critici riconosciuta a ragione come non abbastanza sfrondata dal Vasari.

Comunque sia di queste vite scritte dal calzolaio diventato arguto filosofo, maestro di lingua e console dell’Accademia fiorentina, era desiderata la stampa, ed io aveva promesso al senatore Carlo Negroni, benemerito editore delle Letture del Gelli stesso su Dante, al professore Fabriczy e ad altri amici di pubblicarle pel matrimonio di mia figlia. Mantengo la parola, e divulgando il tesoretto letterario di mia proprietà, solennizzo un avvenimento che con amore di babbo auguro principio di perenne felicità agli sposi, come certamente vorranno augurare quanti leggeranno queste pagine.


Pisa, 7 gennaio 1896.