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Appendice | 293 |
Questo decreto, che pure rappresentava un passo gigantesco verso il progresso civile della Nazione, fu accolto con diffidenza.
Le cause di codesta freddezza devono ricercarsi nelle disposizioni che delegano alle autorità superiori la nomina dei componenti il corpo giudicante, privando le parti del diritto fondamentale del Giurì d’onore, sicchè questo assumeva (erroneamente) agli occhi degli interessati la parvenza larvata di un Consiglio di disciplina a scartamento ridotto.
Come conseguenza di codesti errati supposti, coloro che venivano designati a giudicare, credettero di sentirsi in disagio morale, e perciò quasi sempre si sottrassero alla responsabilità del giudizio con la formula prevista dal decreto di «lasciare le parti libere di risolvere a loro beneplacito la vertenza».
Codesta abitudine non solo frustò le lodevoli intenzioni e gli sforzi del Ministero; ma venne a creare altresì un non giusto privilegio pei militari duellatori, i quali chiamati a rispondere del reato di duello davanti al magistrato, presentavano il verdetto di non intervento, emanato dal Giurì, considerato da essi come un ordine di battersi, e venivano... assolti.
Malgrado le difficoltà e le mende attribuitegli, il R. Decreto 4 ottobre 1908 fu un colpo di mazza bene aggiustato alla tradizione. La persuasione che essa era illogica, contraria alla civiltà, al buon senso e alla Nazione, penetrò nell’animo dei più refrattari. Si comprese che si poteva essere ottimi e onorandi ufficiali senza battagliare per un nonnulla, e che la riparazione civile decretata da un Giurì era più efficace e più ragionevole di un duello spesso ridicolo, sempre o quasi sempre assurdo.