Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
190 | Codice cavalleresco italiano |
delle ragioni dell’appello, e giudicasse quelle come un tentativo posto in essere per diminuire il significato del lodo e annullarne le conseguenze, potrà pronunziare la decadenza degli appellanti dalle prerogative cavalleresche (C. d’On. citate).
Nota. — Non è difficile valutare le ragioni morali e cavalleresche di questo assioma d’onore. L’appello contro un verdetto di un giurì dev’essere rivolto ad un corpo giudicante superiore, moralmente e intellettualmente capace d’imporsi anche a coloro che non vogliono udire e non vogliono vedere ciò che ad essi non garba. Sarebbe ridicolo, oltrechè privo di senso, che contro una sentenza del Tribunale penale, si facesse ricorso, per esempio, al Pretore, o al Conciliatore contro una sentenza del Pretore! Bisognerebbe essere digiuni di ogni concetto elementare del diritto per ammettere che contro un deliberato di un giurì si ricorresse ad un arbitro, o a un giurì unilaterale, il quale, in molti casi, è al disotto dell’arbitrato, giudice eletto dai contendenti, mentre il giurì unilaterale lo è dalla parte interessata.
La Corte d’onore eventuale viene nominata, su domanda delle parti interessate, da persona eminente nella magistratura, nella milizia, nelle cariche amministrative, o, come spesso accade da un uomo politico o da un cittadino ben noto nel campo della cavalleria.
Il personaggio, che accetta codesto delicato incarico, di fiducia, sceglie i giudici (quattro o sei) e il presidente, a meno che non preferisca presiedere personalmente la Corte.
I giudici prescelti in tal guisa non possono per