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Libro terzo 187


Nota. — Così decretarono le C. d’O. di Milano, 18 giugno 1903; Livorno, 25 marzo 1922; Bari, 3 maggio 1922; Roma, 3 luglio 1922.

Se una delle parti ritenesse non giusto il verdetto; presumendo che i giudici furono tratti in errore, o che furono violati i diritti di una parte, o che non furono osservate le prescrizioni cavalleresche, garanzia unica in codesti giudizi elettivi, ecc., deve possibilmente nelle 24 ore dalla comunicazione infirmare il lodo, mediante lettera al presidente e produrre nel termine più breve domanda motivata di revisione. Il presidente del giurì non può rifiutarsi di riesaminare senza preconcetti o risentimento le ragioni addotte. Se il reclamo resultasse infondato e provato in modo sicuro ed assoluto che fu un tentativo di svalutazione del verdetto, seguendo la propria coscienza il giurì potrà pronunziare la squalifica dei ricorrenti. Ma sarà più corretto invocare il giudizio di una Corte d’onore con il concorso obbligatorio dei ricorrenti, e se questi si rifiutassero, la Corte pronunzierà senz’altro la loro squalifica.

Nella seduta del 16 gennaio 1923 la Corte d’O. permanente di Firenze, rispondendo ad analogo quesito, decideva:

«Qualora la Corte, pronunziando giudizio in sede di appello, deliberasse su circostanze che non fossero state oggetto di giudizio di primo grado, è ammissibile il ricorso alla stessa Corte sopra tali circostanze. Ma il ricorso può essere proposto solo dalle parti, mai da un giurì, la esistenza cavalleresca del quale cessa con la comunicazione del lodo.

«Tuttavia deve riconoscersi ai già componenti di un giurì, in quanto gentiluomini, la facoltà di ricorrere singolarmente ad altra giurìa della stessa Corte, qualora il giudizio avesse rilevato nella condotta dei giudici tali scorrettezze morali (e quindi non errori procedurali o di diritto) capaci di condurre alla squalifica cavalleresca,