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164 Codice cavalleresco italiano


ART. 295.

Il presidente del giurì ha obbligo di udire i testi introdotti dalla parte accusata, anche se indicati a deporre su circostanze generiche; la loro esclusione renderebbe nullo il giudizio.

Il presidente del giurì ha pure la facoltà d’interpellare persone estranee alla vertenza da giudicare, sempre, però, nel limite assegnato al giurì, altrimenti cadrebbe nello eccesso di mandato, che renderebbe nullo il lodo (art. 34 Regolamento C. d’On. permanente di Firenze).

ART. 295 a.

Il presidente di un giurì o Corte, ai poteri discrezionali del quale è devoluta la opportunità d’interrogare persone interessate nella causa da giudicare, ma non appellanti, può non invitarle a deporre, quando le circostanze, che esse dovrebbero confermare o negare, risultassero pienamente negate o confermate da un documento di pubblica ragione (Corte d’On. Milano, 8 novembre 1894 e 6 aprile 1895; Firenze 16 maggio 1889 e 8 settembre 1891; Torino, 3 giugno 1922 e Genova, 8 luglio 1922 — Sen. Setti).

Nota. — A questo sano concetto si uniformò il giurì di Siena (aprile 1922) sulla vertenza Piccolomini-Bassi-Ponticelli ed altri, trascurando d’interpellare il sig. Bassi, su circostanze di fatto che risultavano già chiarite e precisate in una lettera pubblicata dallo stesso Bassi nel giornale La Nazione, e perciò di pubblico dominio; tanto più poi che il Bassi non era appellante. E perciò, coloro che censurarono codesta deliberazione del Presidente del giurì (Gelli), dimostrarono una volta di più d’ignorare la giurisprudenza cavalleresca.