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Libro secondo | 75 |
voce, i rappresentanti della parte sfidata si recheranno, all’ora indicata, all’indirizzo lasciato dai mandatari dello sfidante e converranno con essi sul luogo e sull’ora per la trattazione della vertenza.
Accettato il difficile incarico di padrino, è tacitamente impegnata la parola d’onore dei rappresentanti di mantenere il segreto, anche se il motivo, che suscitò la vertenza d’onore da comporsi, non potesse in qualsiasi maniera «compromettere l’onore o la tranquillità di chi li delegò a rappresentarlo, o d’altra persona». Codesto obbligo si estende anche ai giudici d’onore, i quali sono strettamente vincolati — come un confessore — a non rivelare a chicchessia, nemmeno ai Tribunali ordinari, se chiamati in qualità di testi, a deporre su quanto si è svolto in seno alla giuria (v. nota all’art. 293 a).
Quest’obbligo si riferisce pure a quei fiduciari nel giurì e rappresentanti, i quali durante la trattazione della vertenza avessero rassegnato le dimissioni nelle mani del loro mandante, e a quelli che fossero stati pregati da questo di ritirarsi.
Accettata la sfida e scelti i rappresentanti dalla controparte, se al giudizio onesto e civile di un giurì o della Corte d’onore le parti preferissero le vie che possono condurre a uno scontro con le armi, lo sfidato dovrà recarsi con i propri testimoni nella città ove abita l'offeso, in omaggio al principio: «tutti gli svantaggi siano per l'offensore».