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Musica, Per questo scritto fu eletto a far parte, come insegnante esterno •del consiglio tecnico di questo Conservatorio, e poscia fu del consiglio di direzione insieme col Rossi Lauro, e col Serrao, giovando il più che potè ai giovani. Laboriosissimo, attendeva al comporre, a dar lezione di canto, di composizione. Fra buoni allievi noto Carlo Sebastiani, sempre stimato non solamente per valentia artistica, ma per le belle qualità di cuore, la sua morte è stata da tutti rimpianta. La società napoletana e l’arte hanno perduto un beH’ornamento. Orbato d’un amico diletto, mi riserbo di scriver di lui più degnamente. — Acuto.
VENEZIA, 27 Gennaio.
L’apertura del Liceo Benedetto Marcello — Il Ruy Blas al Rossini. ROPRio il 15 corrente, mentre io scriveva il carteggio che fu inser^to sel 3 ^ata gennaio corrente), la Giunta Municipale fissava l’apertura del Liceo Benedetto Marcello per giovedì 16; e ciò è avvenuto con molta soddisfazione di tutti, specie di quelli •che studiano per davvero Tale apertura alla quale fu auspice, ed attivissimo, Enrico Bossi, il nuovo e tanto stimato direttore, cordialmente coadiuvato da tutti i professori, ha subito prodotto del movimento nel campo artistico veneziano, movimento che andrà certo accentuandosi sempre di più nell’avvenire, essendo indubitato che direttore e professori sono tutti animati dal nobile pensiero di rialzare l’istituzione. È quindi desiderabile che le simpatie colle quali, or son quasi vent’anni, venne salutata la fondazione di questo Liceo dovuta all’iniziativa privata per l’opera intelligente e gagliarda di uomini di buon volere, si rinnovino ora che, attraversato, con alterna fortuna, un cosi lungo periodo di prove, essa è passata da uno stadio precario ad uno stabile assetto, e questo per l’opera illuminata, e certo feconda, degli uomini che reggono ora l’azienda Comunale. Vecchio e fidato amico della istituzione, rinnovo ad essa l’augurio che il Liceo Benedetto Marcello, reso saldo e sicuro nel suo cammino, giunga a nobile meta con vantaggio dell’arte e con lustro di Venezia musicale.
Nell’ultimo carteggio vi annunciava la andata in scena al teatro Rossini del Ruy Blas, opera notissima a Venezia e della quale vivono ancora i ricordi di esecuzioni eccezionali. Relativamente, l’esecuzione complessiva, curata con amore e con coscienza dal maestro Grisanti, non dispiacque. L’Impresa però traeva partito dal Ruy Blas per far passare davanti il pubblico, come per l’effetto di una lanterna magica, non so quanti giovani artisti esordienti; ma non credo valga la pena di parlare di tutti. Mi limiterò quindi a parlare di due soli, perchè credo che possano riuscire a qualche cosa. Il baritono Giuseppe Ferrari ha voce simpatica e fraseggia ed agisce abbastanza bene. Peccato che la sua voce sia tremula; ma in un debuttante questo tremolio può anche essere l’effetto di eccessivo timor panico. Ad ogni modo, vinto questo difetto, il Ferrari potrà farsi onore. Il tenore Amedeo Zennaro, veneziano, ha voce di timbro simpatico, quantunque in certi suoni leggermente velata. Mi ha fatto impressione gradita lo scorgere con quanta avveduta parsimonia (qualità rara codesta anche in tanti artisti fatti), lo Zennaro, esordiente, sappia usare della propria voce, nulla togliendo alle esigenze della sua parte e nulla concedendo all’effetto banale. Notata questa rara qualità, mi venne desiderio di approfondire per spiegarmi la sua origine e seppi incidentalmente, che il Zennaro (il quale non conta ancora venti anni) fu, tempo addietro, udito, incoraggiato e, certo, anche consigliato dall’illustre basso Tamburiini; che il Zennari, poscia ha studiato in Milano sotto l’ottima guida del maestro Pozzo, che fu artista esso pure e di cosi bella fama da farmi ricordare con compiacimento la stagione della Fenice 1874» quando il Pozzo, su queste scene, e con bel successo, ha cantato primo in Italia, il Rienzi di Wagner. Uh giovane ed intelligente, come mostra di essere lo Zennaro anche nella azione razionale e misurata, che ebbe la fortuna di avere tali padrini al suo battesimo artistico, deve riuscire; e io credo che, collo studio e coll’esercizio, questo giovane tenore, specie se si voterà all’opera di mezzo carattere, farà bene. Questo è l’avviso mio e anche il mio augurio. — P. F.
GENOVA, 27 Gennaio.
Il maestro Massenet a Genova e il suo Werther.
ersera al Carlo Felice abbiamo avuto la prima rappresentazione del Werther di Massenet, la cui presenza valse a rendere un po’ animato il nostro Massimo, che fino ad ora aveva sempre presentato dei vuoti desolanti. Il teatro era quindi abbastanza brillante, benché nelle poltrone e nei palchi vi fossero molti vuoti ed in platea si passeggiasse comodamente. Dire schiettamente dell’esito di questo spartito, per noi nuovo, non è possibile, perchè, come è facile capire, la presenza dell’autore influì potentemente sugli applausi; il pubblico genovese è troppo gentile per negare un po’ del suo entusiasmo ad un ospite cosi distinto e meritevole d’omaggio. Anche il patriottismo vuole che si faccia vedere ai nostri confratelli d’oltr’alpe che noi accogliamo con grande espansione tutte le scuole, e che nel campo dell’arte non esistono bizze o rivalità politiche. Il Werther non ha certamente nè la vivezza nè la varietà di colorito che ha il Re di Lahore, nè la fluidità melodica della Manon dello stesso autore; esso pecca di monotonia e i lampi di melodica ispirazione vi sono rari; difatti in due soli punti l’applauso fu spontaneo e generale, cioè dopo il primo duettino fra soprano e tenore preceduto dal preludietto ad archi — il cui punto somiglia, come due goccie d’acqua, ad altro della Cavalleria del Mascagni — e dopo il canto melanconico del tenore nel gran duetto del terzo atto. Non dico con ciò che non vi siano qua e là altre cose belle e graziose; ma la monotonia e l’eguaglianza di stile prevalgono e ne scemano l’effetto. L’esecuzione vocale è mediocre; ottima l’orchestra, cui si è dedicato con fuoco giovanile l’egregio cav. Gialdini, al quale il Massenet diede un caloroso abbraccio, coram populo, dopo il primo atto. Credo che sia la prima volta che l’amico Gialdini riceve un sì caloroso abbraccio alla presenza di tutto un pubblico. Sono cose fin de siècle e me ne rallegro con lui. — Minimus.
MODENA, 27 Gennaio.
La Stella del’Nord al teatro Municipale.
GIOVEDÌ scorso abbiamo avuto al nostro teatro Municipale una première, la quale ha avuto tutta l’importanza di un vero avvenimento artistico; vuoi per la riproduzione di uno spartito difficilmente rappresentato sulle scene italiane, vuoi per la meritata rinomanza dei due egregi artisti chiamati ad interpretarne le parti principali. Si aggiunga a questo la direzione e la concertazione oltremodo intelligente ed accurata dell’esimio, quanto modesto, maestro Ettore Perosio, che ottima prova aveva già dato del suo valore colla bella esecuzione dell’Otello, il complesso degli altri numerosi artisti assai buono, la decorosa messa in scena e facilmente si potrà comprendere come la prima rappresentazione della Stella del Nord al nostro teatro Massimo abbia incontrato un successo trionfale. Si incominciò subito dalla sinfonia, la quale fruttò al bravo maestro Perosio una vera ovazione e che fu giuocoforza ripetere, dietro la vivissima insistenza del pubblico. Applaudita la sortita del tenore Danilowitz, la canzone di Caterina: La sua pipa alla bocca, l’entrata di Gritzenko coi calmucchi e la zingaresca finale della prima parte — alla seconda bissato il duetto fra Pietro e Caterina, molto applaudito quello fra Caterina stessa e Prascovia, la canzone della fidanzata e il pezzo capitale dell’opera, la sublime preghiera e barcarola di Caterina e cori, colla quale si chiude splendidamente la seconda parte dell’atto primo. Al secondo atto, che qui a Modena diventa terzo, perchè dividono, come ho detto, il primo atto, si bissò subito la canzone del Granatiere Moscovita ed ottenne un completo successo il terzetto della tenda, con bis del brindisi di Pietro: