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Laurencinus Romanus ebbe gran fama come liutista a Roma nella seconda metà del secolo XVI. Fu insignito dell’ordine dello Sperone d’oro dal papa e del titolo di divino dal Besardo, il quale probabilmente faceva eco all’entusiasmo dei contemporanei;

Diomedes (Catone), nato a Venezia verso la metà del secolo XVI, si condusse giovanissimo in Polonia, ove si allogò presso il gran tesoriere Stanislao Kostka. Era abilissimo sul liuto e nel canto. Nel 1607 pubblicò per le stampe a Cracovia alcune melodie da lui composte in onore di Santo Stanislao protettore della Polonia;

Fabricius Dentici Neapolitanus visse a Roma circa il 1550. Nel Dialogo della musica antica et della moderna Vincenti Galilei loda il Dentice quale valentissimo suonatore di liuto e compositore. Questo musicista pubblicò a Venezia un libro di mottetti (1581) ed uno di antifone (1586) a più voci. Fu più tardi in Spagna, ove ottenne immenso plauso per il modo perfetto con cui toccava il liuto. Di lui si conoscono anche alcune composizioni da chiesa edite a Milano nel 1593;

Alfonso de Ferrabosco, madrigalista famoso, nacque in Italia circa il 1515 e fissò circa il 1540 sua dimora in Inghilterra. Abbiamo di lui due libri di madrigali editi dal Gardano in Venezia: in uno di questi l’autore si dice gentiluomo al servizio del Duca di Savoja. Il Ferrabosco figura con onore in diverse raccolte di composizioni eccellenti di eccellentissimi musici: per esempio nel Fronimo del Galilei, nell’Armonia celeste del Pevernage ed in qualche altra più rara e meno conosciuta (ricordo al momento Il primo libro de intavolatura da liuto, de motetti ricercate madrigali, et canzonette alla napolitana a tre, et quattro voci, per cantare, et sonare composte per Gabriel Fallamezo Gentilhuomo Allessandrino; Vinegia, appresso l’Herede di Girolamo Scotto, 1584);

Mertelius Elias Argentinensis (di Strasburgo) ebbe gran fama sul finire del cinquecento e sui primi anni del seicento come sonatore e scrittore di musica per liuto. È preziosa la raccolta di composizioni per questo istrumento da lui edita sotto il titolo: Hortus musicalis novus, fragrantissimis lectissimisque flosculis, tum patriis, tum exoticis, testudine carpendis atque delibandis, etc. Argentorati, sumptibus ac typis Authoris per Ant. Bertramum, MDCXV.

Il Besardo nel suo libro inserì anche musica di un Eques Romanus. Non saprei se sotto questo nome egli abbia inteso designare Emilio del Cavaliere oppure Alessandro della Viola (Alessandro Romano), ambedue musicisti davvero præstantissimi a quei giorni.

Havvi pure nel Thesaurus buon numero di villanelle a tre voci con accompagnamento di liuto del popolarissimo Luca Marenzio, il cigno più dolce del secolo XVI.

Non tutta la musica fornitaci dall’opera del Besardo si attaglia al nostro gusto educato ormai ad altro sistema armonico e melodico. Vi troviamo spesso successioni di accordi che offendono le nostre orecchie e qualche volta scale affatto fuori d’uso (per esempio la discendente maggiore colla 7.ma min.). Di più i madrigali, le fantasie ed in genere le composizioni in stile fugato non hanno alcun effetto e riescono quasi incomprensibili, trascritte un po’ mutilate ed eseguite con uno strumento in cui riesce impossibile mantenere il suono. Molte arie di danza invece sono leggiadre e caratteristiche. Fra esse ne ho scelto due, che mi parvero gioielli, un Branle simple de Poictou ed un Bergamasco (Pass’e mezo), perchè sieno messe in appendice al mio articolo come saggio dell’opera musicale del legista-medico-filosofo Giovanni Battista Besardo.

Bassano, giugno ’86.

Dott. Oscar Chilesotti.




BERGAMASCO J. B. BESARDI. «Liber quintus, Pass’e mezi.»

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NB. Per facilità di notazione il tono è spostato alla sesta maggiore e i valori ritmici ridotti a metà. - O. C.



BRANLE SIMPLE DE POICTOU. «Liber octavus, Branles et Balletz.»


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