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VAN ELEWYCK eco il nome di un veterano dell’arte; non già di quella, nervosamente febbrile, che avventura le sue ispirazioni tra i malfidi tumulti della scena; ma di quella più calma e serena, che raccomanda le sue fedi al pio raccoglimento del tempio, le sue dotte e pazienti indagini al tranquillo criterio del libro. Nato a Ixelles-lez-Bruxelles nel 1825, di nobile casato, in età ancor giovanissima, Van Elewyck apprese rapidamente, sotto la guida di quei luminari che furono il Bosselet e il Fétis, il pianoforte, il violino, l’organo, l’armonia e il contrappunto; ma di pari passo non trascurò gli studi scientifici e letterari, onde, in seguito ad ardui esperimenti superati col plauso universitario, a Lovanio, ebbe presto conquistato il grado di dottore di scienze politiche ed amministrative. Destinato dalla famiglia alla carriera diplomatica, in cui di certo avrebbe trovato un brillante avvenire, preferì dedicarsi più modestamente alla vita artistica, ove lo chiamavano non solo la prevalenza delle sue inclinazioni, ma il nobile desiderio di promuovere il culto di questa sublime fra le arti, da lui considerata come una seconda lingua, che, cominciando là, dove finisce la parola, addolcisce i costumi e abbella l’esistenza. Presidente, dell’Accademia Reale di musica in Lovanio, fondatore della Società di Santa Cecilia, membro d’onore del Circolo dei XXT, nonché della Commissione direttrice del Conservatorio, impresse a queste preclare istituzioni tutti gli impulsi, onde era animato il suo virile entusiasmo, c le fortunate risultanze che ne ottenne ne fanno pienissima fede. Ma dove maggiormente la sua prodigiosa attività, congiunta al suo profondo sapere, ebbe campo di spiegarsi,. fu nella direzione della Cappella della Collegiata di San Pietro, nella stessa città, salita, a tutto, suo merito, in breve volger di tempo, ai primissimi gradi nelle glorie chiesastiche della illustre terra fiamminga. Arricchita la cantoria di strumenti e di voci, così da farne una scuola-modello permanente di perfezionamento, l’insigne maestro la dotò di nuove od inedite composizioni di maestri nazionali e stranieri, e a questa preziosa collana di peregrini gioielli innestò Mottetti suoi soavissimi, celebrati dalla critica più autorevole, ed altre più vaste opere religiose, fra cui un’Ave Maris Stella, che gli valse il titolo di membro dell’Accademia di S. Cecilia di Roma, e il celebre Tu es Petrus, di cui può dirsi non vi sia vòlta di cattedrale in Europa, che non ne abbia fatte risuonare le strofe potentemente ispirate. Ma non sono questi i soli titoli di benemerenza verso l’arte, del1 illustre lovanese. La storia dell’estetica musicale, specialmente nella parte che riflette la sua applicazione religiosa, ebbe nel Van Elewyck (Disegno di A. Baronchelli). un cultore appassionato, diligente, profondo, tanto da potersi asserire esserne egli stato uno tra i primissimi rinnovatori moderni. Rappresentante di sei diocesi belghe al Congresso di musica religiosa a Parigi, egli vi combattè virilmente la proposta di bandire dalle cerimonie del culto cattolico gli strumenti d’orchestra; proposta la quale avrebbe avuto per conseguenza la proscrizione di tanti capolavori, e ne usci vittorioso. Indi nei successivi Congressi d’Alemagna, d’Italia e di Baviera propugnò l’unità di costruzione dell’organo, di cui aveva dettato precedentemente una storia completa e ricca di interessanti particolari; finalmente, dopo venticinque anni d’indagini laboriose e pazienti, condusse a termine la sua grande collezione delle opere degli antichi e celebri cembalisti fiamminghi, ridonando all’arte tante pagine gloriose cadute in oblio e in pari tempo un tesoro utilissimo per la storia della evoluzione artistica e meccanica subita dallo strumento universale, dai vecchi tempi ai giorni nostri. Incaricato dal suo Governo di una missione in Italia, per istudiarvi l’ordinamento attuale dei Conservatori, delle Cantorie, delle Cappelle e di altri istituti musicali, il valente belga spinse più oltre i suoi studi e, sviscerando con occhio profondo e mano sicura la situazione generale dell’arte, nella sua madre patria, in ogni 1 Z O sua manifestazione, ne formò il documento più interessante al punto di vista della storia della musica nel bel paese, là dove il sì suona. La vastità delle sue cognizioni, la integrità specchiata del suo carattere, nonché la franchezza convinta de’ suoi giudizi, gli valsero l’onore di far parte da parecchi anni, in Francia come nel Belgio, delle più alte giurìe, chiamate a pronunziarsi nei grandi concorsi internazionali, sia di composizione, che di esecuzione istrumentale o vocale. Non diremo quindi dei diplomi e delle onorificenze toccategli in testimonianza di tante benemerenze. Citeremo fra tutte quella ambitissima di Ufliziale della pubblica istruzione di Francia e l’altra, non meno parcamente accordata e perciò tanto maggiormente apprezzata,- di Cavaliere dell’ordine di Leopoldo nel 1875 e di Uffiziale dello stesso ordine, nell’agosto di quest’anno. Un titolo poi specialissimo alla riconoscenza dei suoi connazionali vuol essere ricordato nel valoroso maestro, e nel sagace erudito: ed è lo studio ch’egli, sempre e dovunque, pose grandissimo ad attenuare gli screzi e gli attriti, portato dalle lotte politiche del suo paese, chiamando gli eletti di tutti i partiti alla tacita conciliazione sul terreno neutro e sacro dell’arte. «Nelle sfere musicali, suole egli dire e da gran tempo, a voler «compire cose nobili e belle, si dia tregua alle discrepanze d’opi«nione, e si applichi francamente la nostra bella impresa nazionale. «L’unione fa la forza.» A buona ragione il Re dei belgi autorizzava il compositore esimio, il critico illuminato, lo storico illustre dell’arte ad aggiungere alle armi gentilizie del suo antico casato il motto: Fide et Arte. à6